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al testo di Franca Alaimo
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Tempo lasciato fra libri accatastati, foto ed agende, appuntamenti mancati, luoghi svuotati. Ora sei stato spossessato delle tue donne, degli aromi delle loro bocche e dei fianchi caldi come il giallo oro degli alberi. Sei caduto sulle mattonelle con un tonfo , come una cosa che si rompe improvvisamente o che brucia come se fosse passata una materia incandescente Avevi già una distanza marmorea, il colore dell’erba sotto il plenilunio, la bocca abitata dalla notte e sotto la lingua filamenti di commozione, come se ti piacessero i dolori, e quelle cose che sanno di morte e di metallo duro. Se , adesso, potessi guardare fuori, ti chiederesti perché ci sono tanti stormi nel cielo, e perché tutte le cose che si alzano in volo sono così struggenti. Ma ormai non hai che gli eventi muti dei morti: il tuo petto è diventato una nave che con la prua apre i flutti del cielo, mentre gli occhi buoni degli angeli si colmano, e i battiti delle ali compiono la migrazione verso l’irreale, navigando tra le stelle come il carro dell’Orsa maggiore. Ricordi solo qualcosa, per esempio la beatitudine dei rami fioriti sotto i piedi per quella tardiva primavera che era ancora ottobre e penzola nell’aria il tuo sorriso: oh, nessun male ormai, nessuna pena. Sono tutte cose leggere le tue cose di qui, Fanno musica, hanno i colori dei bambini. Parli con la luce con la stessa adorazione dei fiori che escono dai semi , bucano la terra e si alzano perché il loro compito è benedire l’aria. E poi ti volti appena con un gesto tutto bellezza, Saluti noi che qui siamo rimasti, e sei già così distratto, come chi più nient’altro vuole o chi sorride nel sogno.
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